Racconto poco di me, e mostro altrettanto. Vivo mezza nascosta nella rete, come una sorta di Batman dell’internet.
Oggi però vorrei condividere con voi un episodio della mia infanzia che mi è tornato alla mente di recente.
Ridenti anni ’90, una normale giornata di caos per una portatrice sana di frangetta e salopette.
Le prime avvisaglie del fatto che mi sarei incamminata sulla via del design c’erano già, disastrose, ma comunque abbastanza palesi.
Sono sempre stata l’anima creativa della famiglia, con risultati più o meno discutibili.
Da sempre grande fan del tenere cose rotte in cui vedevo del potenziale (“magari lo posso sistemare”), mi trovai ad armeggiare con un ombrello rotto.
Il mio obiettivo era far risorgere questo ombrello come una fenice dalle sue ceneri, dandogli nuova vita e creando il progetto più rivoluzionario di quel decennio: l’accendi TV.
Non richiesto, non utile, non necessario. La ricetta perfetta per un progetto di merda. E chi ero io per tirarmi indietro?
All’epoca, la tv che avevamo in casa si accendeva unicamente premendo il pulsante accanto allo schermo.
Quindi, perché non creare qualcosa che permettesse a mio papà, mia casuale vittima di riferimento, di accendere la tv anche a distanza?
Mi misi subito in azione, il mio mostro doveva vedere la luce al più presto.
Il piano era semplice e chiaro: avrei dovuto eliminare la parte di “cappello”, tenendo bastone e manico (presentando una certa attenzione per l’ergonomia dell’impugnatura, ripresa, a distanza di anni, nel mio corso di laurea triennale).
Tagliai (male), carteggiai (un po’ meno male), ed ecco pronto il prototipo del mio progetto all’avanguardia.
M-E-R-A-V-I-G-L-I-O-S-O.
E invece…
So già che rimarrete incredibilmente stupiti, ma il fondamentale accendi TV made by Laura non conquistò mai il mercato.
A dire il vero, non uscì nemmeno da casa Paveglio.
Lo so, lo so, è assurdo che un prodotto altamente tecnologico e rivoluzionario abbia fatto questa fine, ma i problemi alla base della progettazione erano parecchi e a me non poteva fregare di meno.
Volevo a tutti i costi risolvere un problema che nessuno si era mai posto, che avevo deciso io a priori, senza interpellare nessuno, e che mostrava una lista di rogne non indifferenti:
- non era davvero ergonomico
- non era pratico
- non era necessario
- non era abbastanza lungo da coprire la distanza divano-TV
- non aveva una forma adeguata per raggiungere il pulsante
- mio padre non era abbastanza culo pesante da sentirne l’esigenza
Dopo tutto quell’entusiasmo e quel lavoro di piccola falegnameria, mi trovai semplicemente con un ombrello decapitato e nessun problema risolto.
Il mio accendi TV è stata una buona idea? No.
Ha aiutato mio papà nell’impresa di accendere la tv? Anche questo, no.
Ha rivoluzionato il resto del mondo? Nemmeno.
Perché vi sto raccontando tutto questo?
Per ricordarvi che lanciarsi in un progetto a cazzo può portare a risultati disastrosi.
Ho sentito fin troppi aspiranti startupper, e non solo, lanciarsi in idee destinate a fallire ancora prima di iniziare, proponendo soluzioni non necessarie per problemi non esistenti.
Senza un problema reale da risolvere, un obiettivo, della ricerca, un target di riferimento e delle sessioni di test, manca una solida base di partenza per progettare soluzioni utili e efficienti.
Chiudersi nella propria bolla, supportando la propria idea a mente chiusa, senza guardarsi attorno con attenzione e senza mettersi in discussione, difficilmente porta a creare qualcosa di realmente rivoluzionario.
Per quanto riguarda il mio accendi TV, avrei voluto mettervi anche una foto come reperto di archivio, ma purtroppo non l’ho ritrovato.
Leggende dicono che il prototipo sia ancora custodito gelosamente nello sgabuzzino dei miei genitori.
Altre fonti sostengono che sia stato prontamente fatto sparire a mia insaputa durante il trasloco.
Cosa abbiamo imparato oggi?
Che un progetto senza una logica è un progetto destinato a finire nel nulla (o nello sgabuzzino di casa Paveglio).
The end.







