Quante volte ci è capitato di trovarci davanti ad un oggetto di uso quotidiano e di non essere in grado di utilizzarlo?
Sentire la frustrazione crescere davanti all’incapacità di portare a termine un’azione anche banale.
Contro quante porte ci siamo schiantati solo per il fatto di averle tirate, invece che spinte? Cosa ci ha suggerito che tirare la porta sarebbe stata la scelta corretta e cosa l’ha resa, invece, sbagliata?
Basta poco, una svista progettuale o uno slancio creativo un po’ eccessivo, ed ecco che le azioni più semplici vengono ostacolate da problemi di varia natura.
“Ci vuole la laurea in ingegneria per capire come funziona”
Questo è ciò di cui ci parla Donald A. Norman nel libro di fama mondiale “La caffettiera del masochista. Psicopatologia degli oggetti quotidiani”.
Nel corso del libro, vengono snocciolati svariati esempi di oggetti presenti nella vita di tutti i giorni, dai telefoni, ai fornelli, ai rubinetti, accompagnati da un’analisi che ne ispeziona design e aspetti che li rendono inutilmente complicati.
Ma di chi è la colpa? Del design e, quindi, come sostiene Norman, del progettista.
Capita che durante la progettazione di un oggetto, l’importanza delle consuetudini e dei pattern mentali venga messa da parte, per lasciare spazio a creazioni che non rispondono alle “esigenze della mente”.
L’interazione non deve essere solo gesto manuale, ma in essa convergono aspetti psicologici e tecnologici, oltre che estetici.
Norman riesce a spiegare, in maniera estremamente schietta e anche divertente, come il cattivo design arrivi ad influire in maniera negativa sull’usabilità degli oggetti che ci circondano.
Nel libro vengono proposti principalmente esempi di oggetti tangibili e di servizi, ma tutto ciò che viene esposto aiuta a creare delle “linee guida” utili da seguire nella progettazione in diversi ambiti, compreso quello digitale.
A mio parere “La caffettiera del masochista” è uno di quei libri fondamentali da possedere, quindi filate tutti a recuperarne una copia.
