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Vita da designer

Don’t call me artist

By 15 Dicembre 2020Dicembre 24th, 2020No Comments

“Secondo gli stereotipi comuni, la grafica si occupa, in maniera artistica e creativa, di pubblicità e di siti web, al fine di rendere le cose più belle ed attraenti.”
– Critica portatile al visual design

Secondo gli stereotipi comuni, molta gente è decisamente confusa.
Noi designer siamo figure mitologiche su cui molti non hanno le idee chiare, alcuni non hanno mai provato nemmeno ad averle, ma una cosa è certa: non siamo artisti.

Quante volte vi siete sentiti dire “Ma allora sei bravo a disegnare“, “Fai le cose tutte strane“, “Mi fai un disegno?“, “Fai i siti belli? E basta?” (no, faccio anche sto ca*zo)?
Io tante, forse troppe, direi che è il momento di fare chiarezza.

L’arte e il design sono amici che sanno andare d’accordo, pur non avendo troppe cose in comune.
Da un lato emozioni ed espressività, dall’altro razionalità ed efficienza.

L’arte può essere interpretata, colpisce ogni spettatore in maniera differente.
È prodotta, comunicata e percepita grazie un tipo di sensibilità che non appartiene a tutti.
A volte è necessario che venga spiegata.
Un design ben fatto, al contrario, non dovrebbe averne bisogno.

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Il design ha il compito primario di risolvere un problema, tenendone in considerazione tanti altri (finalità, fattibilità, budget, tempistiche, limitazioni, materiali, dispositivi ecc).
È un processo razionale che nasce come risposta alla definizione di una esigenza.
Noi designer siamo proprio questo: professionisti che progettano con l’obiettivo di risolvere una problematica esistente.
Non ci rivolgiamo al singolo, puntiamo all’accessibilità “di massa”, con attenzione al target primario di riferimento.
Non creiamo progetti belli, diamo vita a soluzioni.
Solo dopo passiamo a trucco e parrucco, perché si sa, la prima impressione è comunque importante.
Imbellettiamo per attirare con l’estetica, sproniamo a rimanere grazie all’efficenza di ciò che offriamo.

Il design è ricerca, curiosità e rigore.
Osserviamo e analizziamo i comportamenti e i bisogni di chi dovrà usufruire del nostro operato, considerando canoni diversi e consuetudini di utilizzo.
Studiamo soluzioni, non creiamo opere d’arte. Ciò che produciamo non sono belle immagini, ma strumenti dinamici utili.

Giudicare un prodotto di design “bello” o “brutto” è molto limitate e svia da quella che è la sua reale natura: un prodotto utile.
Funziona? È utilizzabile? Riesce nel suo intento? È intuitivo?
La bellezza chiude il cerchio di tutte questi altri quesiti, è il risultato superficiale di una serie di scelte logiche e funzionali. Ne è la copertina.
Quando un cliente valuta un lavoro su ciò che vede, senza porsi il problema del perché sia fatto così, dimostra di non comprendere le dinamiche su cui si basa un progetto di design.
Il lato estetico è la ciliegina sulla torta, utile a rendere ancora più appetibile qualcosa di chiaro ed intuitivamente utilizzabile.
Non deve esserene il focus.

Le scelte attuate in un progetto di design, non derivano mai semplicemente dall’aspetto finale che vogliamo raggiungere.
L’estetica diventa conseguenza di una serie di scelte effettuate sulla base di determinate necessità.

La componente creativa c’è sempre, ma non è solo legata al lato visuale.
La creatività può anche essere espressa anche nella ricerca di differenti soluzioni.

Con questo gigante post degno di un Draconomicon, spero di essere riuscita a fare un po’ di chiarezza in più.
Per approfondire ulteriorimente, vi consiglio questo post del sito Uxdesign, da leggere o da far leggere.