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Vita da designer

Quiet quitting: la “Modalità stic**zi” sul lavoro

By 6 Dicembre 2022No Comments

Sicuramente, la pandemia ha portato tanti cambiamenti nelle nostre vite, in particolare, nel mondo del lavoro.
Oltre alla tendenza delle Grandi dimissioni, abbiamo visto un ulteriore fenomeno prendere piede: quello del Quiet quitting.
Con il termine Quiet quitting, ovvero “dimissioni silenziose”, non si parla del desiderio di lasciare il lavoro o del suo effettivo abbandono, ma piuttosto si indica la propensione a fare il minimo indispensabile, allo scopo di raggiungere un equilibrio sano tra vita e lavoro.

Insomma, una ponderata ”Modalità stic**zi” per dare la priorità al proprio benessere mentale.

Alcuni potrebbero avere sentito solo di recente questa parola, ma in realtà indica un approccio al lavoro già radicato da tempo.
Il fenomeno in questione non è una novità, ma ha iniziato ad acquisire più visibilità in seguito al Covid e alla nuova gestione del lavoro, dal momento in cui parecchie persone hanno iniziato a prendere coscienza della necessità di una vita più equilibrata.
Per alcuni professionisti, il Quiet quitting è stata una risposta lucida all’esigenza di vivere in maniera più tranquilla. Per altri, invece, una reazione inconsapevole ad un malessere psicologico nato a causa delle condizioni di lavoro.
Molto probabilmente, la diffusione di questa tendenza deriva dalla potenza mediatica di Tik-Tok, dove questo argomento è stato ampiamente trattato.

È facile intuire che il Quiet quitting stia contribuendo a rivoluzionare il mondo del lavoro, in particolare in questo periodo storico: il post-pandemia.
Durante il lockdown, quasi tutti quei lavoratori che non ricoprivano professioni “essenziali”, si sono ritrovati a lavorare da casa, scoprendo un modo di essere produttivi diametralmente differente.
Il lavoro da remoto ha permesso a molte persone di trovare un nuovo equilibrio tra vita e carriera, riscoprendo molte “libertà” di cui per molto tempo erano state private.
In particolare, il rientro obbligato, per alcuni, ha portato a rivedere le proprie priorità e a rivalutare le proprie scelte di vita.

Chi sono i Quiet quitters?

Sono coloro che hanno deciso, pur rimanendo in un determinato ambiente professionale, di non porre più il lavoro al centro delle proprie vite, per dare priorità al raggiungimento del benessere mentale.

I lavoratori “Quiet quitters” che hanno aderito (più o meno) consapevolmente a questo fenomeno, sono persone che si sono trovate a vivere in situazioni professionali poco piacevoli: retribuzioni non adeguate, capi che sottovalutano o sviliscono i dipendenti, orari di lavoro massacranti, extra fuori contratto, richieste insostenibili, mobbing e tanto altro.
La naturale risposta al rischio di burnout dato da queste situazioni, è stata adottare il Quiet quitting come modus operandi, arrivando a fare esclusivamente il minimo indispensabile richiesto (nel rispetto delle mansioni di competenza, come da contratto).

Cosa implica questo?

  • Non svolgere attività non di competenza della propria figura professionale
  • non dare il massimo sul lavoro
  • non fare straordinari, in particolare se non retribuiti
  • non dare la reperibilità
  • non aderire alla vita o ai valori aziendali
  • non rispondere alle mail fuori dall’orario di lavoro stabilito

In pratica, implica prendere una posizione, arrivando a distanziarsi e imparando e dire “No”.

La causa: i cattivi capi

Il Quiet quitting, come è facile intuire, è una problematica causata, di base, dai cattivi capi/manager/datori di lavoro e compagnia bella.
Per quanto possa essere semplice cercare la causa nei vari lavoratori pigri o fannulloni, questo tipo di atteggiamento è una conseguenza della cattiva gestione delle realtà lavorative in cui molti si trovano.
(Come in altre situazione, anche qui c’è sempre chi tende a dare la colpa ai “giovani che non hanno voglia di lavorare”.
Questi, però, sono gli stessi individui che, nei racconti del filone “Ai miei tempi”, si proclamano eroi salta-fossi-per-lungo, dalla vita volta ad un martirio inutilmente auto inflitto. Quindi non darei troppo peso alle loro parole.)

Sicuramente un’adeguato lavoro di autocritica portato avanti dai capi ai piani alti, potrebbe mitigare questo fenomeno sempre più diffuso.
Chiedersi da cosa possa dipendere la situazione o porsi il problema che le proprie capacità di leadership siano da rivedere, potrebbe contribuire a migliorare la situazione per tutte le persone coinvolte.
Capire i propri dipendenti, ricompensarli correttamente, aiutarli ad evitare situazioni di stress estremo e quindi di burnout, organizzare la giornata lavorativa in modo garantire il giusto equilibrio tra vita privata e lavorativa, sono solo alcuni degli interventi che possono evitare il logoramento del personale.

In chiusura, però, vorrei solo dire una cosa a chi decide di lasciarsi andare alla ”Modalità stic**zi”: non lasciatevi trascinare dall’inerzia della situazione.
Non permettete a questo malessere di portarvi a perdere nuove opportunità o nuove occasioni che potrebbero svoltarvi la vita.
Per quanto possa essere difficile o spaventoso, a volte è meglio lasciare andare completamente questi posti tossici e puntare a percorrere nuove strade, più significative.