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Vita da designer

Smartworking: facciamo chiarezza

By 25 Maggio 2020Dicembre 24th, 2020No Comments

Arriviamo subito al succo: cari titolari di tutta Italia improvvisati esperti digitali da quarantena, quello che state facendo non è smartworking, è lavoro remoto (o telelavoro, se ci sentiamo un po’ vintage).

Se pensate che il semplice lavorare da casa si classifichi come smartworking, perdonate il francese, ma non avete capito una sega.
Stop. Limpido. Il terzo segreto di Fatima è stato svelato. Il post potrebbe finire qui.
Sfortuna vuole che io sia una puntigliosa rompipalle, quindi vado avanti.

Se l’unica differenza tra la giornata tipica in ufficio e quella a casa è la sede di lavoro, allora stiamo parlando di lavoro remoto. Ed è tutto un altro paio di maniche.

Lo smartworking è, come dice chiaramente il nome, “lavoro intelligente”.
Cosa significa lavorare in maniera intelligente? Significa ottimizzare tempo e spazio.
Scordatevi l’ufficio (in questa quarantena, virtuale), il timbro del cartellino (idem), orari fissi e perpetue riunioni inutili che potrebbero essere riassunte in una mail.
Niente più ore passate sui mezzi pubblici per gli spostamenti e niente rinunce ad avere una vita privata.

Lo smartworking è autonomia, flessibilità e responsabilizzazione delle persone.
Niente orari fissi, niente luoghi di lavoro predefiniti e tipologie di contratto differenti.
Smartworking è lavoro ad obiettivo, non ad ore.

Detto così mi rendo conto che sembri il paradiso, nella realtà dei fatti richiede costanza, serietà e capacità di organizzazione.
Forse non è per tutti, in particolare in una situazione atipica come quella del lockdown, ma con la giusta attitudine potrebbe rivoluzionare la vita di molte persone.

Di fronte a “novità” di questo tipo si creano sempre grossi ostacoli dettati dalle abitudini dure a morire di alcune realtà.
Le aziende vivono con ansia la mancanza del controllo diretto dei propri dipendenti, che sia per questioni di ego o per mancanza di fiducia (problematica affrontata anche in questo post).
Focalizzati su questa “necessità” di supervisionare, ignorano i benefici dello smartworking a livello lavorativo (miglioramento della qualità e aumento produttività) e personale (perché sì, i lavoratori sono prima di tutto persone).

Lo smartworking prevede una riorganizzazione a livello gestionale del tradizionale modo di lavorare, la fornitura di strumenti adatti ai lavoratori ed un nuovo modello di leadership.
Inutile dire che questo manda in crisi molte realtà consolidate, non pronte o non disposte a cambiare la forma mentis della cultura aziendale.

Ora che avete le idee più chiare, siete pronti a fare DAVVERO il salto?

Per chi fosse interessato ad avere dei dati, qui un articolo de La Stampa che ne snocciola una valanga.